Le Cucine del Mondo

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Per la rubrica “Le cucine del mondo” ospitiamo giovedì 22 ottobre 2009 presso il Ristorante L’Aratro ad Alberobello, il famoso chef giapponese Junichi Ishida.

Junichi Ishida vive e lavora a Tokyo nel distretto di Ginza (銀座) nel quartiere speciale Chūō.

Ginza è nota come area commerciale di lusso, con diversi grandi magazzini, boutiques, ristoranti e caffè.

L’appuntamento è presso il Ristorante “L’Aratro” Via Monte San Michele, 25-29 Alberobello (Bari)

Posti disponibili 40

           Menù Giappone 

Info e prenotazioni: 

Mariagrazia 339.8206479

Franco 335.6231826

Domenico 393.9887653

                                   

Quando Calliope incontra Demetra

Calliope Demetra

La musa della poesia epica, raffigurata con lo stilo e le tavolette di cera, incontra colei che nella mitologia greca è la dea del grano e dell’agricoltura.

In altre parole, ogni tanto ci capita di ospitare personaggi del mondo della cultura che vengono a presentare le loro opere, comunque in qualche modo legate ai temi che sono più cari a Slow Food, ed in particolare alla nostra condotta.

Il primo grandissimo personaggio fu il compianto Michael Jackson, autentica autorità nel mondo della birra, che nel maggio 2007 venne a farci visita ed a presentare il suo libro “The Beer Hunter”.

L’11 giugno 2009 è stato il turno di Roberta Corradin che, per i tipi di Einaudi, ha scritto “Le cuoche che volevo diventare”, un godibilissino libro presentato in una calda serata d’estate alla nostra condotta. Domenica 07 marzo 2010 abbiamo ospitato, ad Acquaviva delle Fonti presso il Club 1799, la simpaticissima giornalista scrittrice Bianca Tragni, presentando due sue pubblicazioni: “Il cibo dei morti” e “Favole in cucina”. Il 07 giugno 2011 è stato con noi, a Gioia del Colle presso il Caffè Panta Rei, lo chef Tonino Tubelli con il suo libro “La cucina napooletana”. Il 05 novembre 2011, sempre a Gioia del Colle presso il “Ueffilo” Jazz Club, abbiamo ospitato il giornalista Bernardo Pasquali con la sua ultima pubblicazione “Con la terra tra le mani…un racconto di vita, di vigna e coraggio! Il 14 novembre 2012 è stata la volta di Adriano Labbucci con “Camminare, una rivoluzione”.  Ed infine il 04 maggio 2013 Dario Vassallo con il suo libro “Il sindaco pescatore”.

Per ribadire che molto vasti sono i nostri orizzonti e non si riducono al semplice perimetro della (buona ) tavola…

 

Comunità del Cibo

LA COMPAGNIA DEL FORNELLO

LA NOSTRA COMUNITA’ DEL CIBO

 BUONO, PULITO E GIUSTO

Il concetto di Comunità del Cibo nasce nell’ambito dell’incontro mondiale ” Terra Madre”, (Torino, ottobre 2004 e ottobre 2006) tra contadini, allevatori, pescatori e produttori artigianali provenienti da piccole e piccolissime realtà territoriali di ogni parte del pianeta.

Il grande progetto di Slow Food ha creato una realtà concreta, che lotta contro un’industria alimentare di massa, contro l’aggressione degli OGM e contro tutte le produzioni agro-alimentari lesive non solo degli ecosistemi, ma anche dell’immenso patrimonio umano, naturale e culturale.

Terra Madre è stato definito come un organismo vivente nel quale si associano le culture più lontane e diverse, in cui convergono progetti unici, accomunati oggi dal rischio di essere negati, estirpati.

Ma cos’è una Comunità del Cibo?

Per Comunità del Cibo si intende un gruppo di produttori che, legati al proprio territorio condividono una filosofia di lavoro, assicurando qualità, rispetto delle risorse planetarie e sostenibilità ambientale delle loro produzioni.

Nella realtà della nostro territorio, individuato in quella vasta area della Murgia che va da Santeramo in Colle fino alla Valle d’Itria, il Fornello può essere considerato come il simbolo intorno al quale ricostruiamo la storia delle nostre tradizioni alimentari ed artigiane: è intorno al fuoco dei Fornelli che la comunità si scaldava cocendo carni semplici e poco nobili, bevendo vino dei nostri vitigni, facendo il pane con il lievito madre, illuminando i volti delle donne intente a  preparare pietanze povere ma ricche di bontà e amore per la famiglia e la terra che ci accoglie generosa.

E’ dal Fornello che Slow Food Alberobello e Valle d’Itria intende partire per riunire un gruppo di soggetti che, operando nel settore agro alimentare, dalla produzione delle materie prime alla promozione dei prodotti finiti, fino ai cuochi ed agli studiosi, intendono impegnarsi a condividere la filosofia del buono, pulito e giusto di cui Slow Food si fa portavoce.

La Comunità del Cibo che vogliamo denominare “Compagnia del Fornello”, può riunire piccoli produttori locali, artigiani, ma anche piccoli commercianti e grandi produttori che agiscono e si impegnano ad agire, produrre, commerciare, ma anche inserirsi nella comunità locale, nell’ottica di Slow Food, in quanto realmente consapevoli dell’importanza umana, sociale, ma anche e soprattutto economica di questo approccio.

Stiamo costituendo una filiera allargata e locale che va dai produttori agli studiosi, passando per i commercianti, in cui è fortemente radicata la consapevolezza che il cibo, come sapore e come sapere, di piccola scala e alta qualità, ha bisogno di tante abilità e figure professionali intrecciate per essere risorsa economica, ambientale sociale e culturale. E ne ha bisogno il futuro dell’agricoltura e del cibo; dunque della vita, in occidente come nel Sud del mondo.

La Comunità del Cibo “Compagnia del Fornello”, ricopre sia un’accezione di comunità di territorio, sia quella di comunità di prodotto:

–     di territorio, in quanto produce più prodotti, anche diversi tra loro, ma tutti legati ad un’area geografica delimitata;

–     di prodotto, in quanto è composta da agricoltori, allevatori, trasformatori e distributori che concorrono, a diverso titolo, alla produzione di uno stesso prodotto su un preciso territorio.

Il progetto della “Compagnia del Fornello”, inoltre, prevede

  • lo scambio di informazioni, soluzioni ed idee con altre comunità, sia italiane che straniere;
  • un rapporto più coerente con la ristorazione locale, con l’eventuale rilancio dell’offerta turistica;
  • la presenza ad eventi locali, regionali, nazionali promossi da Slow Food (Terra Madre, Cheese);
  • collaborazioni con le autorità locali per concretizzare iniziative di valorizzazione del territorio.

L’opera di sensibilizzazione sul territorio che ne deriverà, innescherà processi virtuosi che renderanno il progetto sempre più condiviso e concreto.

Questo è in sintesi il nostro progetto. La vostra condivisione ed il vostro impegno sono i benvenuti!

Felice Tanzarella  Tel. 339.2737389  felice@diesseagri.it

Responsabile per il progetto “La comunità del cibo – Compagnia del Fornello”

Il Regno dei Trulli

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di Francesco Saba Sardi

Curioso destino, quello della Puglia in generale e delle Murge in particolare. I secoli d’oro dei viaggiatori stranieri in Italia, il Settecento e l’Ottocento, videro pittori, poeti, cronisti e giramondo puntare alla Campania e alla Sicilia, alle isole, al basso Tirreno e alla costa ionica, ritenuti i luoghi del sole e delle rovine, dei briganti e delle taverne, della povertà pittorica e delle danze popolari e sfrenate: ignorando però gli antichi domini dei Normanni, girando al largo da castelli svevi e cattedrali, grotte di sogno e residui del Neolitico, ciechi perfino alla presenza dei trulli. Accadde così che il mito dell’Italia, nocciolo di tutto ciò che oggi ancora attira da noi i turisti, non riguardasse la Puglia e le Murge, per loro sfortuna o forse fortuna).

Un viaggiatore in cerca di impressioni qui scoprirà come la regione sia un tutto unitario, la meno meridionale e la meno prorompente delle terre del Sud: la Puglia piana, la magna Catapana” che re Enzo, prigioniero a Bologna, pateticamente rimpiangeva. Ma subito dopo scoprirà una stratificazione, una varietà, un’imprevedibilità, esemplificata dalla facilità, oserei dire anzi disinvoltura, con cui l’antico, a volte l’antichissimo, qui convive accanto all’utilitario, al pragmatico, al concorrenziale, grazie a un comune denominatore di asciuttezza, simmetria, chiarezza addirittura cartesiane. E se è vero che ogni regione ha un luogo, un angolo che la riassume, la Puglia questa sua sintesi la trova nelle Murge dei trulli, quel lembo di terra tra Martina Franca, Alberobello, Locorotondo e Selva di Fasano, in cui si direbbero concentrati interi l’enigma e il fascino della civiltà italica.

Le vecchie guide turistiche suggerivano di arrivarci per ferrovia, lungo la linea Casamassima-Putignano. Anche chi, oggi, preferisca l’automobile, converrà vi venga dal mare, da Bari o Monopoli, addentrandosi lentamente, quasi una iniziazione, nel regno dei trulli o “caselle” come anche si chiamano questi anelli concentrici di “chiancarelle” ovvero schegge di calcare. Perché di un regno a sé, di un’isola senza tempo parrebbe effettivamente trattarsi. E’ un altopiano ondulato, di terra rossa, fitto di basse vigne, inverdito di boschi di lecci e macchie di carrubi, rigato da interminabili muretti a secco. Sarebbe il Carso, per l’aspra costituzione geologica, non fosse per la dolcezza dei profili, sì che questa terra assume una morbidezza da campagna inglese, ravvivata dallo splendore del cielo mediterraneo. Il frazionamento della proprietà terriera ha disseminato i trulli ovunque: sorgono, a gruppi o isolati, in tutta la favolosa valle di ltria, tra Locorotondo e Martina Franca; s’aggregano attorno a masserie dalle alte muraglie che si direbbero scozzesi; si allineano lungo le vie in curva alla periferia di Alberobello. E le vicende storiche, le guerre, le ristrutturazioni economiche e politiche, l’influenza levantina e il Regno di Napoli, l’inserimento nel Regno d’Italia, l’emigrazione, il neocapitalismo, non sembra siano stati abbastanza forti da alterare l’autentica, intatta arcaicità di questo mondo fiabesco.
I trulli derivano, pare, dal tholos greco; e vi diranno che c’è un sostrato magico-esoterico, che queste singolari costruzioni sono, oltre che abitazioni, monumenti; miti in pietra, emblemi com’è comprovato dalla simbologia grafica, rozza ma efficace, che spicca dipinta sulle spirali di pietre di cui consistono: gli abitanti vi faranno vedere, compiacenti e compiaciuti, la nitidezza e pulizia degli ambienti interni, l’etnologo vi spiegherà che le costruzioni in sé non sono molto antiche, ma che remota è la tradizione che le ha generate. Forse, un tempo, il trullo unicellulare non serviva da abitazione: era, sparso nei campi, un’edicola e insieme un deposito di attrezzi agricoli.

Ma la ricca Puglia, depredata da voraci padroni, s’è impoverita nei secoli, e l’agricoltore venne a vivere in questi “tempietti”, moltiplicandoli in corrispondenza alla crescente complessità del nucleo familiare, sicché oggi sovente i trulli appaiono quali i fitti acini di un patriarcale grappolo. Ma, soprattutto, essi sono una lezione: venire qui è abbeverarsi al vivo insegnamento delle tradizioni, è riscoprire quella serenità di rapporti tra uomo e mondo che i miti attribuiscono all’Età dell’Oro. Non che il contadino che vi abita sia meno alienato e povero dello zappaterra di Manduria o della vicina Basilicata, anch’egli infaticabilmente alle prese con una terra ingrata, tutta da “spietrare” materialmente e sociologicamente. Ma, per chi viene da altrove, dalle città brulicanti quest’è un’esperienza imprevedibile, unica, indimenticabile, cui il paesaggio singolarissimo conferisce ulteriore incisività. E un suolo scavato da gravine e grotte (quelle di Castellana costituiscono il complesso geologico più grandioso e spettacolare d’Italia); la campagna, verde e rossa, è una sequenza matematica di perfette arature, vigneti, oliveti, boschetti; e Locorotondo è un compatto giro di case, un candido dedalo; Martina Franca un latteo groviglio su cui spicca la barocca grafia di volute grigie, ferri battuti, velature rosa; Ostuni, ai margini della zona, è uno stiparsi di bianche case entro gli annosi bastioni circolari.

Sono le città d’un tempo che fu, in cui si dominava la materia espressiva, non il proliferante disordine dell’agglomerato odierno. Per questo le Murge possono dirsi anche fortunate. Escluse dai benefici della vita d’oggi, ne ignorano però anche i molti svantaggi, le tante umiliazioni. Ansiose di dimenticare il secolare gravame della povertà e della retorica che liricizza il sole implacabile, il gregge nero, la cisterna asciutta, riescono tuttavia, isola felice, a non divorare se stesse. Neppure la civiltà dei consumi è riuscita ad adulterare il “bianco secco” che altrove diviene sceltissimo spumante, né la schiettezza del cibo genuino, né soprattutto la benevola cordialità e disponibilità della gente che abita le Murge.

Per chi suona la Campana

 

   

                                         Per chi suona la campana

 

E’ una rubrica ideata da Domenico Maraglino e Giancarlo Granaldi con il fine di ripercorrere l’itinerario professionale ed umano di personaggi leader nel mondo dell’enogastronomia, attraverso riflessioni, idee e ricordi.

Foto Petrini

Nata il 27 ottobre 2005 con una magnifica serata dedicata al grande enologo Severino Garofano, la rubrica associa a serietà cultura e riflessione, l’ilarità, la simpatia e la giocosità che sempre distinguono le iniziative della nostra condotta, il tutto condito con un pizzico di provocazione che mai guasta.

Per chi suona la campana è condotta magistralmente da Domenico Maraglino, che nel corso del faccia a faccia offre all’ospite di turno la possibilità di condividere con i partecipanti le proprie emozioni, ricordi, passioni, aneddoti, vicende umane e piccoli stralci di vita quotidiana.

Nel corso degli anni abbiamo intervistato Severino Garofano, Benedetto Cavaliere, Maurizio Maglio, Roberto Burdese, Vinzia Novara (Firriato), il “patron” Carlo Petrini, Santi Planeta, Andrea Muccioli, Simonetta Gigliola Varnelli e dulcis in fundo Gianfranco Fino.

 

Un piatto per Terra Madre

Logo Piatti
Il progetto “Terra Madre”, ovvero il sostegno di comunità di contadini, pescatori, allevatori di tutto il mondo in difesa della BIODIVERSITÀ del cibo, è sicuramente quello che più di tutti rappresenta, a livello mondiale, l’evoluzione dell’ideologia di Slow Food in questi ultimi anni. La condotta “Alberobello e Valle d’Itria” ha avuto un’idea per sostenere “Terra Madre” durante tutto il corso dell’anno e non solo in concomitanza con alcuni grandi eventi Slow.

Per realizzare questo progetto è stata chiesta la collaborazione delle osterie Slow Food e dei soci produttori presenti sul territorio di competenza della condotta. Le osterie coinvolte avranno “in carta” un piatto che rappresenti in pieno la tradizione gastronomica del territorio e che inoltre tenga conto del concetto di sostenibilità (cioè utilizzi prodotti provenienti solo da coltivazioni che rispettino il patrimonio delle riserve naturali) e di risparmio energetico (ovvero la distanza tra produttori e ristoratori non dovrà superare i 30 km), in modo da poter fornire un sostegno continuativo al progetto.

Ogni qual volta il cliente ordinerà e quindi pagherà il piatto, gran parte del ricavato sarà destinato a “Terra Madre”. Il ristoratore renderà il cliente partecipe dell’iniziativa anche grazie all’ausilio di un pieghevole, sul quale verranno riportati i nomi dei produttori che hanno fornito le materie prime utilizzate nella preparazione del piatto e le ragioni che ci hanno spinto a credere nel progetto e a sostenerlo.

Per l’iniziativa sarà anche realizzato, da un nostro socio-produttore di Grottaglie, un apposito piatto di ceramica raffigurante il logo di “Terra Madre”, con il nome del ristorante ed il nome della condotta. Il piatto sarà chiamato “Cavatellucci Terra Madre” e sarà composto da cavatellucci con pomodorino “appeso”, saltato con cipolla rossa di Acquaviva delle Fonti, su un letto di fave bianche, condito con un filo di olio extravergine di oliva aggiunto a crudo.

Il piatto di ceramica rimarrà al cliente come ricordo di questa bellissima iniziativa. Invitiamo tutti, soci e non soci, a vivere insieme a noi questa piccola, ma grande emozione.

Adele Ninni

Le Osterie che aderiscono all’iniziativa sono:

 

L’Antica Locanda – Noci

La Taverna del Duca – Locorotondo

L’Aratro – Alberobello

La Cantina – Alberobello

La pasta Senatore Cappelli

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Con la passione che ci lega alla filosofia “Buono, pulito e giusto”, abbiamo messo insieme gli attori per portare a tavola “la pasta di semola di grano duro Senatore Cappelli”.

Cominciamo dall’azienda “La Mandra” di Noci che ha seminato tre ettari di grano Senatore Cappelli bio (salvo buon raccolto giugno 2009).

Il molino artigianale “Masseria Tinelli” di Noci pronto a soddisfare le richieste del pioniere “Pastificio De Carolis” di Monopoli al comando dell’infaticabile sig. Giuseppe Caroli, attento in tutte le fasi di tracciabilità e rintracciabilità, fissando un prezzo base sin dalla semina per garantirsi la materia prima dell’azienda “La Mandra”. Inoltre parte della farina ricavata andrà al “Panificio Angelini” di Martina Franca per produrre dell’ottimo pane e focaccia del suddetto grano.

Noi di Slow Food Alberobello & Valle D’Itria garantiamo questi passaggi con solerzia affinchè il consumatore possa ritrovare e distinguere prelibatezze naturali, introvabili, un motivo in più per testare gusti palatali inesistenti nei giovani.

Samuele Petruzzi

Il frumento “Senatore Cappelli” è un’antica varietà di frumento che ebbe la maggior diffusione in Italia, fino al 1975, quando, attraverso una sua modificazione genetica, venne introdotta la varietà “creso”, che pose a rischio di estinzione la Cappelli. Negli ultimi anni il grano duro Cappelli è stato reintrodotto in alcune zone di poche fortunate regioni italiane, come la Basilicata.

Similmente a tutti i grani antichi, il grano Senatore Cappelli, con la sua altezza (160-180cm) e il suo apparato radicale sviluppato, soffoca le malerbe ed è quindi indispensabile in agricoltura biologica. Allo stesso tempo le spighe di questa varietà sono anche maggiormente soggette all’allettamento, cioè al piegamento e coricamento dovuti all’azione del vento e della pioggia.

Il nome deriva da Raffaele Cappelli, senatore del Regno d’Italia, originario di San Demetrio ne’ Vestini, che negli ultimi anni dell’Ottocento, assieme al fratello Antonio, diede l’avvio all’epoca della trasformazioni agrarie in Puglia.

Carne Diem

                                                 

LA CARNE AL FORNELLO

Una perla della tradizione enogastronomica murgiana

Introduzione

 

Sono stati Francesco Biasi, lo straripante fiduciario della Condotta Slow Food Alberobello e Valle D’Itria, ed uno stuolo di entusiasti collaboratori (Giovanni Annese, Vincenzo Carrasso, Giancarlo Granaldi) a pensare “Carne Diem” e a metterlo in scena per trasmettere il fascino della terra murgiana e l’emozione che i suoi prodotti enogastronomici, semplici e antichi, sono in grado di suscitare.

Si sono avvalsi della preziosa collaborazione di un macellaio di Alberobello, Giuseppe Palasciano, un artista della carne, l’unico professionista della compagnia, ormai noto a livello nazionale dopo la partecipazione alla “Prova del cuoco” di Antonella Clerici e alla rubrica domenicale del Tg1 “Terra e sapori”.

L’ideatore dell’evento, dopo aver sperimentato questa formula fortunatissima nella zona murgiana, ha iniziato con le repliche prima in diverse parti della Puglia e poi col “Carne Diem Export” in ogni angolo d’Italia.

Per apprezzare autenticamente il fascino della tradizione pugliese del fornello, è importante sapere dove, quando e come essa nasce e quali ne sono le caratteristiche fondamentali.

La Murgia

E’ un territorio collinare che interessa parte delle province di Bari, Brindisi, Taranto e Matera e che richiama nel proprio nome la pietra calcarea, che è caratteristica di questo paesaggio.

La parte più caratteristica della Murgia è quella più elevata, la murgia carsica, che ricade prevalentemente nella provincia di Bari, e si trova ad un’altitudine compresa tra 300 e 650 metri e che è prevalentemente destinata al pascolo e alla coltivazione dei cereali. Nelle zone situate a minore altitudine si coltivano l’ulivo, il mandorlo e la vite da vino. Sono tipici di questo territorio i muretti a secco, vari tipi di trulli, le “lame” (alvei asciutti di torrenti), le “gravine” (profonde ed ampie fenditure del suolo scavate dal corso di fiumi ancestrali) e le grotte nel sottosuolo.

Tra i comuni più caratteristici della zona vi sono Acquaviva delle Fonti, Adelfia, Alberobello, Altamura, Casamassima, Cassano delle Murge, Castellana Grotte, Conversano, Gioia del Colle, Gravina in Puglia, Grumo Appula, Locorotondo, Minervino Murge, Noci, Poggiorsini, Putignano, Rutigliano, Sammichele di Bari, Sannicandro di Bari, Santeramo in Colle, Spinazzola, Toritto e Turi.

La tradizione della carne al fornello

Il fornello è un tipo di cottura della carne alla brace che ha certamente in Puglia radici molto antiche.

Probabilmente furono i Greci ad avviare questa usanza ed alcune preparazioni tradizionali risalgono a più di duemila anni fa.

Le preparazioni di carne da cuocere al fornello conobbero la loro evoluzione in tempi nei quali il consumo della carne non faceva parte dell’alimentazione quotidiana delle classi meno abbienti. Si mangiava carne solo nei giorni di festa. Per il fornello le carni maggiormente adoperate erano quella suina, ovina e, più raramente, quella caprina ed equina.

La carne bovina, almeno in Puglia, non veniva quasi mai impiegata a questo scopo. I bovini erano troppo preziosi come animali da lavoro. Anche il cavallo veniva macellato solo se si azzoppava, divenendo inutilizzabile per il trasporto.

La transumanza, pratica della transumanza pugliese, quando le greggi partivano dalla piana di Foggia per spostarsi in estate sino alle montagne d’Abruzzo (Maiella) e ritornavano in Puglia alla fine di settembre e difatti come recita il ritornello: “Se tu vuoi pecora bella – in estate sulla Maiella – e d’inverno a Panzanella”; nel foggiano appunto; sebbene la pratica della transumanza sia caduta in disuso negli anni Cinquanta, la tradizione del fornello si è fortunatamente mantenuta. Ossia la migrazione delle greggi che nel periodo invernale percorrendo i tratturi scendevano dall’Abruzzo per svernare nelle pianure pugliesi, ha, invece, rappresentato per secoli una fonte preziosa di ovini e caprini. Anche questi animali, però, erano destinati prevalentemente alla produzione di latte e lana, mentre erano utilizzati per alimentare il fornello quasi esclusivamente in occasione delle feste, e particolarmente nel periodo pasquale.

Vi era ovviamente la necessità di non sprecare nulla delle bestie che venivano macellate. Ciò ha portato ad utilizzare anche le parti meno nobili, le cosiddette frattaglie, facenti parte del cosiddetto quinto quarto. Vi sono frattaglie rosse (fegato, cuore, polmoni, reni o rognoni, milza, lingua), frattaglie bianche (cervello, midollo spinale, animelle da ghiandole salivari, timo e pancreas, trippa) e le coratelle.

I macellai delle zone murgiane propongono il fornello fin da epoche remote; inizialmente l’usanza nacque forse in margine a sacrifici religiosi di animali, che poi venivano arrostiti e mangiati o anche per non sprecare le parti usate per le attività divinatorie degli aruspici. Successivamente il fornello divenne un rito che alimentava la convivialità in occasione di alcune feste liturgiche cristiane e delle feste patronali.

In tempi più recenti, con il migliorare delle condizioni economiche l’uso tutto pugliese del “fornello pronto” si è esteso fino in modo incredibile, fino a divenire disponibile nelle numerosissime macellerie della zona quasi in tutti giorni della settimana. Questa usanza, così radicata nel territorio murgiano, non manca di impressionare i visitatori di altre regioni italiane e stranieri. Nel libro intitolato “Vino al vino” (1971), Mario Soldati si mostrava stupito per “…il curioso risalto e la straordinaria frequenza delle macellerie”. Annotava in proposito: “Ce n’è una ogni sei o sette case, una ogni cento passi: ciascuna sfolgora di luci e di candide piastrelle: ciascuna, accanto o sopra la porta, ha in bella mostra un grande avviso a lettere cubitali: FORNELLO PRONTO”.

Adesso come in passato, dopo la scelta e l’acquisto della carne, solitamente di seconda scelta, e la cottura su spiedi numerati, la degustazione avviene nel retrobottega della macelleria. In alternativa, la carne, ancora fumante, viene asportata per il consumo a casa: ed è davvero una grande e gustosa comodità!

I segreti della carne al fornello

Le preparazioni tradizionali di carne al fornello, un tempo destinate ai meno abbienti, perché ricavate da parti di scarto e meno nobili, sono oggi una prelibatezza da gourmet e da intenditori.

Occorre, però, una grande cura nella scelta degli ingredienti ed un’abilità sopraffina nella cottura.

Le frattaglie, incredibilmente gustose, succulente, saporite, invitanti ed appetitose, devono essere consumate freschissime perché possono facilmente alterarsi per azione di microrganismi, perdendo ogni fragranza.

La cottura deve essere estremamente attenta, condotta a regola d’arte, di breve durata e mai a fuoco diretto, ma con riverbero del calore, per evitare che la carne si cuocia in modo eccessivo; in tal caso, per fenomeni di parziale carbonizzazione, il sapore tenderebbe a virare verso l’amarognolo; la disidratazione della carne e la coagulazione delle proteine di superficie indurrebbero fenomeni di raggrinzimento e rinsecchimento, rendendo la carne dura e stopposa.

Se si riesce ad esaltarne le tipiche caratteristiche organolettiche, le preparazioni al fornello, già straordinariamente invitanti all’olfatto sì da far venire l’acquolina in bocca, danno immensa soddisfazione al gusto per la consistenza “carnosa”, la fantastica succulenza, l’appagante sapidità e l’armonia stuzzicante dei sapori.

Alcune preparazioni tradizionali

I modi di preparare la carne al fornello, di geniale semplicità, seguono alcuni motivi fondamentali, pur essendovi a volte variazioni sul tema da paese a paese, magari cambiando qualche ingrediente o la miscela delle carni.

Salsiccia grossa a punta di coltello

E’ una salsiccia ricavata da carne di maiale e da lardo dello stesso animale che vengono tagliati in piccoli pezzi con la punta di un coltello affilato, conditi con sale e pepe macinato e amalgamati con vino primitivo o, secondo altre usanze, con vino bianco. L’impasto viene insaccato in budelli di maiale, che vengono suddivisi ogni dieci centimetri circa con la legatura di spago sottile per formare i rocchetti.

Bombette

Sono fagottini di capocollo di maiale, che contengono formaggio pecorino, prezzemolo, sale e pepe. Con la cottura il formaggio tende a fondersi e a sigillare dall’interno la “pallina” di carne concentrandone il gusto all’interno. Messa sotto i denti, realmente sembra creare un’esplosione di sapori.

Zampina

E’ una salsiccia sottile ricavata ad Alberobello e comuni viciniori da carne mista di maiale e di vitello, che viene macinata a macchina, insaporita con pepe, sale basilico e pomodoro. Alcuni macellai usano amalgamare l’impasto con il vino bianco (verdeca).

A Sammichele di Bari si prepara con punta di petto o pancetta di bovino e pancetta di agnellone grasso, che vengono condite con formaggio di latte vaccino, prezzemolo e basilico triturati insieme con le carni, pelati di pomodoro (150 g per chilogrammo), pepe quanto basta e sale (12 g per chilogrammo).

A Gioia del Colle prende il nome di “zampino” e si confeziona con carne di giovani bovini, con l’aggiunta di pepe, peperoncini dolci e piccanti sminuzzati, prezzemolo, basilico, aglio, finocchio selvatico, pomodori in polpa e vino bianco. Alcuni usano aggiungere anche menta, capperi, funghi e cognac.

L’impasto viene finemente amalgamato e successivamente insaccato in budelle ovine precedentemente lavate con acqua e sale.

La zampina viene posta a scolare appesa ad un uncino metallico prima di essere cotta.

Solitamente viene arrostita a rotoli infilati uno ad uno negli spiedi e cotta alla brace.

Gnumerieddi

Il nome gnumerieddi o gnemerieddi o ghiummurridde viene dal latino “glomus”, che significa gomitolo. Vengono anche chiamati involtini o torcinelli, dal termine torcere, per indicare che vengono preparati mediante attorcigliamento.

Sono fatti da pezzetti di interiora (fegato, polmone, cuore, milza, coratella) di agnello, agnellone e capretto, conditi con prezzemolo, fasciati con la coratella e tenuti insieme dal budello avvolto a gomitolo dello stesso animale.

Le animelle

Sono bocconcini di timo di vitello, tenuti insieme dal budello di ovini. Si tratta di una rarità, dato che il timo ha un peso di 300-500 g nell’animale giovane, ma si atrofizza nell’adulto fino a scomparire.

Il gusto, delicatissimo, compiace per l’equilibrio tra la tendenza dolce, la misurata grassezza e la tendenza amarognola appena accennata unita a giusta sapidità.

L’enogastronomia murgiana

 

La Murgia ha radici contadine e pastorali ed i suoi prodotti più veri ne trasmettono lo spirito semplice e forte. Grano, olive, mandorle, legumi, verdure, ortaggi, funghi, latte, carni, frutta fresca e secca sono la base di partenza per una serie di prodotti rustici e genuini, che fanno da ingredienti ad gustosa cucina di terra, un tempo fatta di frugali piatti unici.

Gli elementi fondamentali di tale tradizione sono rappresentati da oli extravergini di oliva (D.O.P. Terra di Bari, sottozona Murgia dei Trulli e delle Grotte ottenuti principalmente dalla cultivar cima di Mola), pane (famosi i pani di Altamura D.O.P. e quello di Santeramo in Colle), pasta fresca o secca (orecchiette, cavatelli), focacce, taralli, legumi (fave, cicerchie, lenticchie, ceci, fagioli), verdure (cicorielle selvatiche, finocchietto selvatico), ortaggi (cipolla rossa di Acquaviva delle Fonti), funghi (eccezionali i cardoncelli), latticini (ricotta, ricotta forte, fiordilatte, scamorza, manteca, burratine, fallone di Gravina, caciocavallo, formaggio pecorino), salumi (capocollo, soppressata, salame, ventresca), carni (specialmente animali da cortile, coniglio, agnello, pecora, capretto, maiale, cavallo, asino), frutta (ciliegie “ferrovia”, percochi di Turi).

Ne scaturiscono piatti semplici resi unici dalla fantasia e dalla creatività di generazioni di gente semplice abituata a valorizzare al meglio “quel che passa il convento”.

Solo per fare qualche cenno tra i primi, non si può fare a meno di parlare delle orecchiette con ragù di brasciole di cavallo, dei cavatelli con pomodorini e ceci bianchi e neri, dell’impanata, di grano e fagioli, delle cicorielle assize, della zuppa di funghi cardoncelli al pomodoro.

Tra i secondi, come non dire degli involtini di trippa (di vitello, di pecora o di capra) in umido, dell’agnello al forno con patate e lampascioni, del coniglio ripieno al forno, dell’agnello a cutturidde, della callaredda d’agnello, del marro e del calzone di ricotta forte e cipolla rossa di Acquaviva delle Fonti.

Per i dolci, cibo sublime delle grandi occasioni e delle feste “terribili”, il pensiero va ai dolcetti di pasta di mandorle, alle cartellate al cotto di fichi o alla glassa di mela cotogna, ai “biscottini” (grossi taralli rivestiti di giulebbe), ai bocconotti, ai sospiri, alle zeppole di S. Giuseppe, alle castagnelle, ai sasaniedde, al calzone di ricotta e alla scarcella pasquale.

I vini della Murgia

La zona murgiana ha una vocazione antica per la vitivinicoltura e i suoi terreni collinari, prevalentemente di tipo calcareo-argilloso o siliceo-calcareo, sono ideali per la produzione di uve pregiate per vini di qualità.

I vitigni maggiormente utilizzati per i vini bianchi sono verdeca, bianco d’Alessano, fiano, greco, moscato bianco, malvasia banca e chardonnay; per i rosati e i rossi i vitigni di maggiore impiego sono primitivo, montepulciano, aglianico, sangiovese e aleatico.

Nell’area vi sono tre D.O.C.: “Gioia del Colle”, “Gravina” e “Locorotondo”; altri vini vengono prodotti come I.G.T.: “Murgia”, “Valle d’Itria” o “Puglia”.

La D.O.C. Gioia del Colle prevede la produzione di un bianco (da trebbiano ed altri vitigni), di un rosato, di un rosso (da primitivo, malvasia nera, montepulciano, sangiovese e negro amaro), di un primitivo (da uve primitivo al 100%), anche in versione riserva e di un aleatico dolce, anche in versione riserva e liquoroso.

La D.O.C. Gravina prevede esclusivamente la produzione di un bianco, in versione secco, amabile e spumante, da malvasia bianca lunga (40-65%), greco di Tufo e/o bianco d’Alessano (35-60%), bombino bianco e/o trebbiano toscano e/o verdeca max. 10%.

Anche nella D.O.C. Locorotondo è prevista solo la produzione di un bianco, anche nella tipologia spumante.

Il rosso e il primitivo della D.O.C. Gioia del Colle e diversi rossi prodotti come I.G.T. Murgia, Valle d’Itria e Puglia, per le loro caratteristiche di buona intensità gusto-olfattiva, di corposità, di considerevole alcolicità, di discreta morbidezza e di apprezzabile freschezza e tannicità si prestano perfettamente all’abbinamento con la carne cotta al fornello.

 

Giuseppe Baldassarre

Ad Maiora

AdMaiora

 

Ad Maiora…! Ai giovani Chef e ai giovani produttori di vino fiori all’occhiello dell’attuale scenario eno-gastronomico pugliese!

E’ a loro che dedichiamo questa brillante rubrica nata grazie anche alla collaborazione del giornalista RAI Michele Peragine e all’imprenditore turistico Vittorio Rinaldi che ha voluto ospitarci nel suo accogliente ed elegante Ristorante “LE JARDIN” di Castellana Grotte (BA).

Adele Ninni e Flora Saponari presentano i giovani talenti che si esibiscono attraverso menù d’eccezione e produzioni enologiche fra le migliori d’Italia. 

Sono stati presentati:

– UMBERTO GORIZIA del Relais Le Jardin – Castellana Grotte (Ba)

– PAOLO CANTELE di Azienda Vinicola Cantele – Guagnano (Le)

 

– MICHELE ROTONDO del Ristorante Masseria Petrino – Palagianello (Ta)

– STEFANO E RENATA GAROFALO di Masseria Monaci – Copertino (Le)

 

– VITO NETTI del Ristorante La Strega – Palagianello (Ta)

– LUIGI RUBINO di Tenute Rubino – Brindisi

 

– LUIGI PUGLIESE del Ristorante Il Cantinone – Putignano (Ba)

– ROBERTO MINUTO di Cantine Luisin – Barbaresco (Cn)

 

-GIUSEPPE BUSCICCHIO del Ristorante L’Uliveto dell’Hotel Cavaliere – Noci (Ba)

-MASSIMILIANO APOLLONIO della Casa Vinicola Apollonio – Monteroni di Lecce (Le)

 

-OTTAVIO SURICO dell’Osteria del Borgo Antico – Gioia del Colle (Ba)

-LUIGI DI TUCCIO – delle Cantine Antica Enotria – Cerignola (Fg)

 

Adele Ninni cell. 347.6933277 adeleninni@libero.it

Flora Saponari cell. 347.3229858 filomenasaponari@alice.it